Tre paroline a Luigi Di Maio

Luigi Di Maio è quello che, se vincessero i pentastellati, diventerebbe con ogni probabilità Primo Ministro.

Parentesi per i diversamente informati: in Italia, come in molti altri posti, gli elettori eleggono i membri del Parlamento. Semplificando, i parlamentari indicano uno tra loro come possibile capo del governo, che poi il Presidente della Repubblica incarica di formare il governo. Il Parlamento infine accorda la fiducia al governo. Oppure no. Il fatto che il nome del Primo Ministro si sappia da prima, e poi sia effettivamente quello che lo diventerà, è una stortura da imputare a Berlusconi. Infatti guardate cosa è successo l’ultima volta che ha vinto Bersani ma poi il governo l’ha fatto Letta: non è mica stato un coup d’état, è stato il normale svolgimento del processo democratico. Lo dico perché ogni volta devo ripeterlo anche a persone insospettabili e comincio ad essere un po’ stanchino.

Tornando a Di Maio, questo trentenne divenuto vicepresidente della Camera dei Deputati a 26 anni col diploma di liceo classico al grido di mandare a casa tutti i privilegiati incompetenti senza titoli per fare il lavoro che fanno, ha pestato una merda bella grossa, per quanto mi riguarda: alla domanda sul perché a 30 anni ancora non si è laureato, ha risposto

perché sono diventato vicepresidente alla Camera a 26 anni, e mai avrei approfittato del mio ruolo per andare a fare gli esami.

Io ho una lunga storia con l’arroganza e la supponenza di questa ggente a cinque stelle. Poi, coi piccoli borghesi neo-fascisti nel cui contesto Luigi è cresciuto, a me viene meno anche il filtro di essere cresciuto in un ambiente cattolico che ti insegna a reprimere i porchidii.

Per cui dirò solo che io mi sono laureato coi miei tempi, ma alla sua età lo ero già da tre anni, che io non sarò stato nessuno, ma non ho neanche conosciuto nessuno che abbia passato gli esami perché era qualcuno — e qualche qualcuno l’ho conosciuto, lungo la strada. Quindi, caro prossimo pretendente allo scranno più alto, io spero che, quando deciderai di tornare a laurearti, i tuoi professori non si facciano ammaliare dal tuo CV, ma che, anzi, si ricordino di te e delle scemenze che hai detto, e che ti facciano pagare ogni virgola fuori posto, ogni congiuntivo traballante, ogni ignoranza della legge che hai dimostrato, ogni spregio della corretta dialettica pubblica, politica, e democratica, e che ti chiedano davvero, come dicevano a me i miei genitori per spaventarmi e farmi studiare, cosa dice il terzo paragrafo di pagina 347 dell’ultimo libro della lista delle letture consigliate.

Perché a me l’hanno chiesto, e io, quando non ho saputo, ho sempre risposto che non sapevo.

Con onestà e trasparenza.

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