Cosa vuoi fare da grande?

Quando uno fa colloqui, concorsi ed esami di vario ordine e grado per qualche mese consecutivo, è inevitabile che inizi a notare regolarità bizzarre in ambiti apparentemente diversi.

Dopo la laurea ho iniziato a fare domande di dottorato. In alcuni casi l’esame prevedeva solo una valutazione dei titoli, in altri casi includeva anche un colloquio o addirittura una prova scritta. La prova scritta in genere è di questo tipo: “il candidato dettagli un piano di lavoro per il triennio di ricerca” dove, a seconda dei casi, questo piano poteva essere ipotetico o meno, e legato o ad alcuni temi dati oppure ad un tema a scelta del candidato. I colloqui si svolgevano prevalentemente secondo il copione “cosa hai fatto in tesi”, “cosa vorresti fare in dottorato” e “sai parlare inglese al telefono”.

Fallite le domande di dottorato [1] è stata l’ora dell’Esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di Ingegnere dell’Informazione [2] che è quel genere di esame che lo vedi fare per tutti gli anni che bazzichi per il dipartimento e ti immagini che, se la gente ci va con le valigie piene di libri, forse proprio facile facile non dovrebbe essere.

Nella prima prova mi è stato chiesto di progettare il sistema di controllo degli accessi veicolari a pagamento ad un parco naturale, in cui i terminali per il pagamento erano dati e il software applicativo che gestisce la base di dati andava realizzato da un altro team. Potevo farlo anche senza libri, e in effetti l’ho fatto perché il libro di basi di dati non credo di averlo mai avuto. Quattro ore, ce ne ho messe due e mezza per essere sicuro di non fare cazzate grosse, più una mezz’ora di sonno che non fa mai male.

La seconda prova era un po’ più sensata: mi si chiedeva di dire tutto quello che sapevo sugli alberi bilanciati di ricerca, costruirne uno lì per lì con un insieme di numeri fornito, e fare qualche esempio di algoritmi che sfruttano codeste strutture dati. Preso il Cormen e copiato tratta ispirazione a piene mani. Altre quattro ore, ce ne avrò messe tre ma solo perché ho scritto tanto. Quasi sette facciate.

Non c’è due senza tre, e tanto per non farci mancare niente, la terza prova dura otto ore. Mi sono presentato in aula pieno di speranze nei confronti di una prova finalmente non offensiva per gli anni di studio che ho profuso nella mia laurea, e invece rieccolo, il database del cazzo. Nemmeno mi ricordo se era lo stesso della prima prova–tendo ad escluderlo–ma questa volta chiedevano anche qualche query in SQL (comprese le creazioni delle tabelle che credo di aver cannato in pieno per uno stupido errore di sintassi), un’analisi dei requisi hardware e software, e “se il candidato lo ritiene utile, formuli qualche query ulteriore spiegandone le motivazioni”. Questa volta me la sono presa proprio comoda: un’oretta di coma e quattro ore di lavoro.

A questo punto manca solo l’orale, che a norma di legge verterebbe su argomenti di indirizzo e normative del settore. Nel frattempo, però, tanto per non morire di noia (l’orale è stato qualche giorno fa) ho deciso di fare un colloquio con una di quelle aziende tristi e grigie in cui si genera codice Java disegnando diagrammi UML a tutto beneficio delle banche a cui questi sistemi sono rivolti e con molto teamwork, partnership, best practices, ed altre buzzword che fanno tanto… non posso essere volgare e non riesco a trovare un eufemismo, quindi abbiate pazienza. Il fatto è che questo colloquio, fatto con un tizio che mi ha tenuto lì un’ora e che mi ha fatto aspettare quasi un’altra ora prima di incontrarmi, e che durante l’intervista avrà risposto otto volte al suo iPhone 4, scusandosi con aria compagnona perché “i capi sono capi in ogni situazione”. Ma sto divagando, perché il punto che volevo evidenziare in questo caso è che anche questo, ad un certo punto, mi ha chiesto “cosa hai fatto in tesi”, “cosa vorresti fare da grande” e “sai parlare inglese al telefono”. Questa azienda non mi ha più richiamato, e francamente non ne faccio un dramma, ma il colloquio in sé meriterebbe un post lui da solo. Comunque.

Veniamo all’orale dell’esame di Stato. La convocazione è per giovedì 27 gennaio alle 8:30 al DEI. Il motivo per cui non veniamo convocati ad un orario preciso per ciascuno appare evidente immediatamente: vengono chiamate le prime tre persone, e io sono il terzo. Entro, consegno la carta d’identità e mi siedo di fronte a questi due prof che non ho mai visto in vita mia.

– Buongiorno.
– Buongiorno.
– Ci… racconta cos’ha fatto in tesi?

Riavutomi dalla sorpresa di un inizio così blando attacco la solita solfa, dico chi è stato il mio relatore, spiego cos’è il Reactable e cerco di fargli capire qual è stato il mio ruolo in tutto questo. La domanda successiva è “cosa sta facendo ora e cosa vorrebbe fare da grande?” alla quale rispondo che sto facendo colloqui e che ho fatto un po’ di domande di dottorato che però sono risultate fallite o senza borsa. Mi chiedono se l’ho fatta anche a Barcellona, poi riflettono un momento sul fatto che per le applicazioni multimediali e ludiche è un buon momento… e poi in bocca al lupo e arrivederci. Tempo: 10 minuti scarsi.

Non sono scaramantico ma ho imparato che è meglio non sbilanciarsi sugli esiti degli esami, però in questo caso gli scritti li ho evidentemente superati, e l’orale ho il ragionevole sospetto di non aver fatto una figura meschina, quindi ritengo appropriato pensare di avere l’abilitazione in tasca… però non posso fare a meno di chiedermi se tutto l’esame nel complesso non sia stata una gigantesca farsa. La risposta la danno quelli che non hanno superato la fase scritta, che francamente mi sorprende perché se dopo cinque anni di ingegneria non sai rispondere a quesiti così banali (i temi degli altri rami non erano certo più complessi di quelli di informatica) allora c’è qualcosa che non va.

Mi consola il fatto che al mio amico ingegnere civile hanno dato filo da torcere: almeno non vedremo cadere le case costruite da lui. Però un po’ di amaro resta.

  1. Fallite per modo di dire, perché in realtà ho vinto sia Genova che Verona, ma senza borsa…[]
  2. Che ora che hai finito di dirlo senza sbagliare e senza orticaria hai già mezza abilitazione in mano.[]

7 commenti

Cico dice:

Che l’esame di stato da ing. dell’informazione fosse una farsa stratosferica, ti avevamo avvisato (tranne quando lo fa Enoch).

Sul fatto che ci sia gente talmente ignorante che non lo passa nonostante gli anni di studio te lo può dimostrare una digressione sugli esami di meccanica:

P: Allora ‘sto guard-rail su una strada di mare di che materiale lo facciamo?
S: Di questo no perché si corrode (bene) di quest’altro neanche perché reagisce male con la salsedine (bene) … bhé potremmo farlo d’oro!
P: Mmmm lei quanto aveva preso all’esame di economia?

oppure chicca molto più recente e più ingegneristica

P: Allora sto pistone che deve tirare su il braccio di una gru da 1,5 tonnellate come lo dimensioniamo?
S: Beh il diametro del pistone diciamo che lo possiamo fare di 20 mm mentre lo spessore del cilindro … beh di 2 decimi di millimetro.
P: Le consiglio di andare a progettare giocattoli erotici.

Infatti avevo un po’ il timore di trovare Enoch… e in realtà c’era uno che poteva essere lui, solo che senza barba e capelli è un po’ difficile da riconoscere.

Circa l’oro… beh, ma obiettivamente… :D

GiRa dice:

Hai sputato sangue per 5 anni, basta quello come esame.

Ricordo che io ero l’unico con lo zainetto, però mi ero portato la calcolatrice che usavo al liceo, 15000 lire comprata al supermercato -.-

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