Divertirsi imparando

È inutile studiare qualcosa se alla fine non la si capisce: possiamo impararla a memoria o addirittura saperci fare due o tre semplici esercizi, ma quello che conta nello studio è capire. Per fortuna in letteratura e nella pratica comune c’è pieno di strategie e trucchi per raggiungere questo obiettivo, per esempio adattando lo studio alle singole diversità di ogni studente: c’è chi è più lento, chi più veloce, chi è più o meno bravo in qualcosa… Una tecnica che sembra funzionare molto bene, specialmente con i bambini e i principianti assoluti, è usare oggetti reali, concreti, manipolabili, per risolvere problemi pratici, e da lì costruire le relazioni tra oggetti, problema e soluzione fisica e gli oggetti simbolici che rappresentano i concetti astratti che vogliamo apprendere [1] [2], e questo è un passaggio per cui serve una guida, tradizionalmente fornita da un insegnante.

Motivazione

C’è talmente tanto consenso attorno all’idea che la motivazione sia la chiave fondamentale dell’apprendimento che è diventata quasi un assioma nel campo dell’educazione. In effetti l’evidenza empirica suggerisce che studenti non motivati non raggiungano grandi risultati, se mai ne raggiungessero, mentre gli studenti più motivati tendono ad ottenere risultati ben al di sopra della media.

La motivazione è la ragione che spiega e giustifica le azioni, ed è in stretta relazione con l’apprendimento [3]. Quando uno studia qualcosa, in fondo sta cercando [4]:

  • competenza, cioè il padroneggiare un’attività e avere il controllo sugli esiti di questa attività;
  • relazionalità, cioè il bisogno di interagire con i propri simili e pari;
  • autonomia, cioè l’essere in grado di svolgere un’attività in modo autonomo — da non confondersi con l’indipendenza;

ma prima di tutto bisogna che uno diventi uno studente, cioè che sia curioso e motivato ad apprendere. La fregatura è che creare e mantenere alta curiosità e motivazione è un gran casino, ma fortunatamente sappiamo bene quanto le cose divertenti e appassionanti siano in grado di tenerci incollati ad esse.

Videogiochi

Le materie di studio però non sempre coincidono con le cose divertenti, e quindi come ne usciamo? Combinando divertimento, computer, e il fatto che siamo nerd, la risposta è videogiochi. Purtroppo se ci aggiungiamo l’aspetto educativo vengono in mente quei tristi giochini anni novanta in cui ci insegnavano a leggere o far di conto con degli esercizi che se li avessimo letti sul sussidiario li avremmo ritenuti così poco interessanti che mollare tutto e darsi all’aratro ci sarebbe sembrata una prospettiva molto più interessante (oh, wait…) ma dato che venivano dal computer dovevano essere per forza divertenti, no? Ah, se tutti avessimo dato ascolto al buon Thomas [5] avremmo scoperto che un buon videogioco (ma anche un buon gioco, a ben guardare) dovrebbe:

  • avere degli obiettivi interessanti ma né troppo difficili né troppo banali a seconda del livello del giocatore, altrimenti è ovvio che uno si stufa e molla tutto;
  • avere degli obiettivi pratici o di fantasia, come far atterrare un’astronave sulla Luna, e non semplicemente dire quanto fa 36×22 [6];
  • far sì che la curiosità dei giocatori non scemi, per esempio facendo in modo di continuare a sorprenderli con un ambiente in costante evoluzione (curiosità sensoriale), o facendo in modo che, superato un enigma, si chiedano quale sarà il prossimo, o la soluzione al prossimo (curiosità cognitiva);

e quindi sembra che la chiave sia nel vortice del piacere nel raggiungere obiettivi e del desiderio di scoprire “cosa viene dopo” [3]. In effetti c’è una cosa a cui non si pensa quasi mai, quando si viene ai videogiochi: i giocatori apprendono un casino di nozioni e abilità diversissime tra loro, seppure in qualche modo superficialmente, tipo guidare auto veloci, far volare un aereo, gestire parchi tematici o ospedali [7] [8] [9] o addirittura combattere guerre [10] ma quello che è interessante è quello che si apprende ad un livello più profondo, cioè assimilare velocemente informazioni, prendere decisioni rapide, sviluppare strategie per evitare ostacoli, comprendere sistemi complessi sperimentandoli, che significa apprendere le regole del gioco giocandoci invece che facendosele insegnare da qualcuno.

Aggiungendoci il fatto che è provato che le tecnologie informatiche hanno un impatto positivo sull’apprendimento nei bambini [11] sembrerebbe proprio che i videogiochi siano il mezzo ideale per insegnare divertendo, perché il target dei videogiochi più moderni, i cosiddetti nativi digitali, ha davvero un modo diverso di pensare: trovano più facile porre attenzione su molti eventi contemporaneamente, e quindi riescono ad analizzare molte informazioni in parallelo, e in più assimilano informazioni disparate a grande velocità, prendono facilmente decisioni rapide, spesso collaborando in reti, dalle locali quando si gioca nella stessa stanza, a quelle planetarie nel gioco online [12].

Creatività

Ci sono materie che non sono particolarmente creative, come la storia, la geografia, o l’educazione civica, e ci sono materie in cui la creatività è attivamente incoraggiata, tipo la letteratura, o la musica. Dopo tutto questo parlare di videogiochi, tirare fuori la musica può avere un effetto devastante sul fronte creatività: uno pensa videogiochi musicali e dice Guitar Hero, Karaoke Revolution, Wii Music o, quando va proprio tanto bene, Fluid ed Electroplankton. Se in questi ultimi il gameplay è studiato in modo da permettere al giocatore di creare, entro certi limiti, musica giocando, i primi ricadono nelle categorie puramente imitative in cui si fanno punti facendo la cosa giusta.

Creatività significa anche non fare necessariamente la cosa giusta, ma fare cose nel modo giusto. Abbiamo già visto che i giocatori imparano le regole del gioco giocando, quindi è evidente che se le regole del gioco fossero le nozioni musicali che vogliamo insegnare (dalle più semplici tipo altezza o intensità, alle più complesse tipo scale e accordi) non saremmo a cavallo? Eh, pare facile…

Interfacce tangibili

Dopo tutto questo ragionamento, sembra un po’ forzato cacciare le interfacce tangibili nel discorso: “eh, eh, hai giocato col Reactable e ora ce lo vuoi rifilare ogni volta che puoi”. Sembrerebbe di sì, finché non andiamo nella nostra libreria ed estraiamo un testo fondamentale che tutti abbiamo in casa [13] in cui troviamo una delle osservazioni chiave nella pedagogia del ventesimo secolo, cioè che i bambini usano spontaneamente e con grande concentrazioni gli oggetti che si trovano intorno per esplorare il mondo che li circonda, testarne le regole, e scoprire concetti di elevata astrazione senza che nessuno li spieghi loro. Se fossi l’unico ad aver pensato che ci possa essere un collegamento tra le osservazioni di Maria Montessori e i moderni giocattoli digitali (che alcuni chiamano “digital manipulatives” [14] e altri “tangible bits” [15]) ciò mi darebbe molto da pensare, ma fortunatamente non è così [1] [16].

Insomma

Io non so un granché di videogame design ma so che tra di voi c’è qualcuno che ha qualche idea, quindi accetto commenti e discussioni di buon grado: su, non siate timidi, prometto che alla fine vi cito e vi offro da bere :)

  1. E. Soloway, M. Guzdial, K. E. Hay, “Learner-Centered Design: The Challenge For HCI In The 21st Century”, in Interactions, v.1 n.2, April 1994[][]
  2. E. Soloway, S. L. Jackson, J. Klein, C. Quintana, J. Reed, “Learning Theory in Practice: Case Studies of Learner-Centered Design”, in Proceedings of the ACM CHI 96 Human Factors in Computing Systems Conference, 1996 []
  3. G. Denis, P. Jouvelot, “Motivation-Driven Educational Game Design: Applying Best Practices to Music Education”, in Proceedings of the 2005 ACM SIGCHI International Conference on Advances in computer entertainment technology, 2005[][]
  4. Secondo la teoria dell’autodeterminazione, letta il 25 giugno 2012[]
  5. T. Malone, “What makes things fun to learn? Heuristics for designing instructional computer games”, in Proceedings of the 3rd ACM SIGSMALL symposium and the first SIGPC symposium on Small systems, 1980[]
  6. SPOILER: fa 792[]
  7. G. Denis, P. Jouvelot, “Building the Case for Video Games in Music Education”, in Second International Computer Game and Technology Workshop, 2004[]
  8. M. de Aguilera, A. Mendiz, “Video Games and Education (Education in the Face of a “Parallel School”)”, in Computers in Entertainment (CIE) – Theoretical and Practical Computer Applications in Entertainment, v.1 n.1, October 2003[]
  9. M. Pivec, O. Dziabenko, I. Schinnerl, “Aspects of Game-Based Learning”, in Learning, v.3, 2003[]
  10. America’s Army, videogioco pro-reclutamento sviluppato dal dipartimento della difesa statunitense[]
  11. C. O’Malley, D. Stanton Fraser, “Literature Review in Learning with Tangible Technologies”, futurelab, 2004[]
  12. M. Prensky, “Digital Game-Based Learning”, in Computers in Entertainment (CIE) – Theoretical and Practical Computer Applications in Entertainment, v.1 n.1, October 2003[]
  13. M. Montessori, “The Montessori Method”, New York: Frederick Stokes Co, 1912[]
  14. M. Resnick, F. Maryin, R. Berg, R. Boovoy, V. Colella, K. Kramer et al, “Digital manipulatives: new toys to think with”, Proceedings of the ACM SIGCHI Conference on Human Factors in Computing Systems[]
  15. H. Ishii, B. Ullmer, “Tangible bits: towards seamless interfaces between people, bits and atoms”, Proceedings of the ACM SIGCHI Conference on Human Factors in Computing Systems[]
  16. O. Zuckerman, S. Arida, M. Resnick, “Extending tangible interfaces for education: digital Montessori-inspired manipulatives”, Proceedings of the Conference on Human Factors in Computing Systems, 2005[]

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